Il pulpito di Peterskirche

Il pulpito di Matthias Steinl (1644-1727), datato 1726 si trova nella chiesa dedicata a San Pietro sita in Vienna. 
Peterskirche è il suo nome, un piccolo gioiello nascosto nelle trafficate e illuminate strade della moda viennese. 
Steinl fu un'architetto, un pittore, un designer e anche uno scultore austriaco
La struttura del pulpito è davvero particolare: al vertice possiamo vedere una colomba la quale rappresenta lo Spirito Santo. Proprio sotto di essa troviamo due figure, una accanto all'altra. A sinistra si trova il Figlio di Dio: la narrazione evangelica la conosciamo bene, Dio, fattosi uomo, viene battezzato da Giovanni Battista. In quel momento inizia il suo processo di insegnamento attraverso la parola di Dio padre. Non tutti però seguirono il nuovo Messia: uno dei suoi discepoli lo tradì, fu Giuda Iscariota. Catturato e crocifisso da Pilato, morto e sepolto, dopo tre giorni salì al cielo e sedette alla destra del Padre. La stessa posizione che troviamo anche qui, nel pulpito di Steinl. 
Dio, alla nostra destra ha sul suo capo un triangolo, i cui vertici simboleggiano la Trinità. Il materiale con cui è fatto il pulpito è probabilmente pietra ollare, ovviamente dettagliatamente dorato. 

Il Codice Atlantico: alla scoperta del genio

Emozionante..non ci sono altre parole per descrivere il sentimento che per almeno mezza giornata ha tormentato il mio animo. Quando scelsi dal catalogo on line della Biblioteca Nazionale Austriaca il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, non mi sarei aspettata tutto ciò. C'è da dire prima di tutto che già soltanto la Biblioteca è qualcosa di spettacolare, avete presente la Bella e la Bestia? Ecco sembra di essere lì...oh amo i libri! Tornando a noi, mi sono presentata, carta d'identità alla mano e il libro che mi consegnarono era un volume davvero enorme e pesante. Il codice che ho sfogliato è l'edizione in facsimile di quello conservato presso l'Ambrosiana di Milano. 

Ho sempre pensato che Leonardo da Vinci fosse un genio ma vederlo dal vivo è qualcosa di magico. Ho trovato alcuni disegni molto eleganti e puliti, altri più sporchi e imprecisi, come se durante la notte avesse avuto un'illuminazione che lo ha costretto ad alzarsi di corsa per non far volare via quel pensiero. Questo codice, che ho avuto la fortuna di sfogliare, può essere definito una sorta di Zibaldone: è una raccolta di disegni, calcoli e appunti. A lui dobbiamo sicuramente le attuali conoscenza scientifiche e matematiche, ma un aspetto che mi ha molto colpita è la scrittura. Forse non tutti lo sanno ma Leonardo Da Vinci era solito usare la scrittura speculare: con essa la lettura è possibile solo se la si guarda con l'aiuto dello specchio. 
La scrittura speculare si crede oggi sia espressione e sintomo di malattia, quali la dislessia. A me personalmente piace credere che lo abbia fatto consapevolmente per mostrarci le sue emozioni e i suoi pensieri. Accanto alle sue stupende creazioni ci sono diversi calcoli, immagino servissero per aiutarlo nelle proporzioni di quello che di lì a poco avrebbe disegnato. Un'altra cosa che mi ha molto colpita del volume è stato il disegno di uomo, anzi di un mezzo uomo: un disegno dove le parti del corpo umano vengono trasformate in quelle di un drago o di una papera, con le ali al posto delle braccia, con un unicorno sulla testa, con un V sul petto destro e un occhio umano al posto del ginocchio. Secondo alcuni, questo disegno rappresenterebbe il disagio interiore e le preoccupazioni dell'artista toscano. La storia di questi preziosissimi disegni e bozze inizia con una fine ossia proprio con la morte del genio Leonardo, avvenuta ad Amboise nel 1519. Il Re Francesco I fu la persona più vicina all'artista, ed è a lui che egli lascia tutto ciò che aveva. Alla morte dell'artista le opere furono date a Fra Melzi, per poi passare al figlio di quest'ultimo, Orazio, nel 1570.
Il ragazzo, non comprendendo l'importanza di ciò che aveva tra le mani, decise di vendere a Pompeo Leoni (1582-1590) l'intera collezione. Quest'ultimo, sotto Filippo II di Spagna, raccolse i documenti di Leonardo in due volumi: Disegni di machine et delle arti secrete, e altre cose di Leonardo da Vinci, raccolti da Pompeo Leoni e il Codex Arundel. Il codice in possesso da Leoni venne lasciato in eredità a Polidoro Calchi, il quale decise di venderlo a Galeazzo Arconati nel 1622. La storia del Codice termina con la donazione di Arconati all'Ambrosiana di Milano nel 1636. Durante la guerra però, nel 1796, Napoleone lo portò in Francia, ma a seguito del Congresso di Vienna, il codice ritornò finalmente a Milano. Infine da ricordare il restauro del 1962 voluto da Paolo VI, il quale portò tutta la documentazione ad una comunità di Monache di Grottaferrata (RM). Secondo lo storico Paolo Galluzzi, il Codice ci regala la possibilità di capire davvero come lavorava Leonardo. E in effetti, questa esperienza mi ha ha dato modo di sentirmi vicina ai pensieri e alle passioni del maestro. 

«[...]E veramente il cielo ci manda talora alcuni che non rappresentano la umanità sola, ma la divinità istessa, acciò da quella come da modello, imitandolo, possiamo accostarci con l'animo e con l'eccellenzia dell'intelletto alle parti somme del cielo[...]» 

Giorgio Vasari, Edizione Torrentiniana del 1550

Votivkirche: il ringraziamento di Francesco Giuseppe I

Questa imponente chiesa, dal carattere neogotico, si eleva imponente nella splendida città di Vienna. La traduzione italiana è Chiesa Votiva, questo perché si voleva ringraziare il Signore dello scampato pericolo a seguito del tentato omicidio dell'Imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria da parte di un ungherese. La chiesa venne iniziata nel 1856 e fu terminata e consacrata nel 1879, ben ventitré anni dopo l'inizio della sua costruzione. La splendida struttura la dobbiamo all'architetto ventiseienne Heinrich von Ferstel, il quale con il suo progetto sbaragliò la concorrenza degli altri 74 progetti presentati!
Il motivo della sua costruzione non fu soltanto relativa al ringraziamento divino, ma anche al fatto che si voleva creare un luogo di protezione per tutti i popoli del Danubio sotto l'impero Asburgico. Un modo questo, che fece sentire al sicuro e a casa la popolazione. La chiesa è un esempio di architettura neogotica. Di per sé questa parola sta ad indicare un revival delle forme gotiche per esprimere un'arte nazionale. Questo è proprio ciò che accadde in Germania e in Austria durante il XIX secolo. L'interno della Votivikirche è molto simile a quello delle basiliche, infatti è diviso in tre navate e presenta un bellissimo transetto che interseca perpendicolarmente, proprio all'altezza del presbiterio, le tre navate della chiesa. 
La Votivkirche è arricchita da splendide vetrate colorate che la irradiano silenziosamente, nonostante la parte vicino al transetto rimanga buia. Appena entrati si possono ammirare inoltre bellissimi lampadari.
La chiesa può risultare a primo occhi molto spoglia, ma nasconde in sé tesori che meritano di essere ricordati: la tomba del conte Niklas Salm, uno dei protagonisti della difesa contro i turchi del 1529, si trova nella Cappella Battesimale, mentre spettacolare è l'organo a canne del 1878 che si trova sulla cantoria in controfacciata.
Ciborio

La Vittoria alata di Berlino

Christian Daniel Rauch fu uno scultore tedesco, nacque in Assia nel 1777 e fu molto importante in quanto creò la scuola di Berlino. Morì a Dresda nel 1857. Famoso per le sue opere legate all'ambiente funerario e celebrativo possiamo ricordare: il sarcofago della regina Luisa nel mausoleo di Charlottenburg e il mausoleo a Federico il Grande. La sua tipicità sta nell'uso di una scultura classicheggiante fusa ad un vivo realismo, ereditata dai grandi Shadow, Canova e Thorwaldsen. L'opera su cui vorrei soffermarmi è la Kranzwerfende Viktoria. Questa Vittoria alata si trova all'Alte Nationalgalerie di Berlino e si presenta maestosa, bella e fiera di sé. 
La Vittoria sembra esser seduta su di un trono di roccia e ha nella mano destra una corona di alloro. La figura volge la testa verso destra e il suo sguardo sembra aver catturato qualcosa in lontananza. I canoni classici di bellezza sono vicini ai dettami di Winckelmann e l'avvicinamento a Canova e a Thorvaldensen, avvenuto a Roma, ha portato ad uno sviluppo dello stile di Rauch.
Il suo viso dalle forme semplici e così perfette rapiscono il mio sguardo. Nonostante non sia molto espressiva, la luce del giorno che entra dalla finestra di fianco, sottolinea i contorni e la sua bellezza eterea. Lo straordinario panneggio dona alla statua sensualità ma allo stesso tempo la sua postura conferisce rispetto.  

La magia dei Proverbi di Brueghel

Bellissima tela di Pieter Brueghel (Breda 1525 o 1530 - Bruxelles 1569) del 1559 "Proverbi fiamminghi" conservata alla Gemäldegalerie di Berlino. Al suo interno ci sono circa 80 scene diverse che rappresentano altrettanti modi diversi di dire! 
Il tema è stato sicuramente ripreso dall'opera di Bosch dei "Sette peccati capitali" o dal "Giudizio Universale". La tela è stata usata come sfondo per i titoli di testa del film "Miracolo a Milano" di Vittorio de Sica del 1950. Il film è ben lontano dai caratteri tipici neorealisti e la tela di Brueghel rappresenta al meglio il mondo popolare e carnevalesco della pellicola italiana che vinse la Palma d'oro a Cannes nel 1951.
Ora vediamo nel dettaglio alcune scenette presenti nella tela e il loro significato:
"Mordere la colonna"
 Praticare la religione con ipocrisia
"Abbassarsi per entrare nel mondo"
Scendere a compromessi
"Provare fastidio per il sole che si riflette sull'acqua" Essere invidioso del successo di qualcuno
La narrazione è basata su piccole scene, su aneddoti, non vi è prospettiva e l'idea del tempo è in continuo mutare. Viene rappresentato un mondo popolare in modo giocoso. Molte similitudine le possiamo trovare nell'opera di Hieronymus Bosch nel suo "Giudizio".
Pannello centrale del trittico sul "Giudizio" del 1504-08.
Oggi si trova alla Akademie der bildenden Künste a Vienna


L'elegante danza del Bernini: l'Apollo e Dafne

Bernini tra gli anni 1618 e il 1625 realizza diverse opere per il cardinale Scipione Borghese tra cui il Ratto di Proserpina, il David, il busto del committente stesso e l'Apollo e Dafne. Quest'ultimo soggetto è preso dalle Metamorfosi di Ovidio, nello specifico nel I libro, versi 452-567. 
Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra, il petto morbido si fascia di fibre sottili, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici, il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva. (Da Ovidio - Metamorfosi)
Apollo e Dafne è stata fatta tra il 1622-25
e si trova alla Galleria Borghese di Roma
L'opera è sensuale, veloce, danzante. Apollo, accecato dall'amore verso la giovane figlia di Peneo, la rincorre e lei invocando aiuto viene trasformata in un bellissimo albero. Bernini ha avuto la capacità di immortalare l'attimo preciso in cui Dafne si gira terrorizzata verso il Dio mentre le mani e i capelli stanno diventando rami. L'Apollo è sconcertato da questa trasformazione, ma data la velocità della sua corsa, non si è ancora fermato. Trovo quest'opera davvero particolare, davanti ad essa si ha la sensazione di essere partecipi nell'istante della sua metamorfosi. 
E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta...». (Da Ovidio - Metamorfosi)

Dal 1880 al 2014: Delacroix con furore!

Dal 1880 si festeggia la festa per l'unità nazionale in Francia, avvenuta nel 1790. Per questo post ho voluto dare spazio ad un grande artista che ha dato espressione alla libertà. Rivoluzione e vittoria, “La libertà che guida il popolo” con la sua icona femminile a petto scoperto è divenuta nel tempo un simbolo politico dell'età moderna. Dipinto ad olio su tela rappresenta la rivoluzione parigina.
La figura in primo piano, che avanza decisa è una popolana, una donna malvestita che porta con sé un fucile ed è incorniciata dalle figure di un bambino con due pistole e una figura a sinistra che sembra essere il ritratto dello stesso autore Delacroix.
Egli nacque a Saint Maurice nel 1798, è uno dei maggiori rappresentanti del romanticismo francese. In questa opera si evince tutta la potenza di Delacroix: la sua pennellata decisa, i colori forti ma allo stesso tempo spenti. Opera datata 1830, venne presentata al Salon ma gli fu criticato il fatto di aver inserito persone di rango umile lasciando da parte gli altri strati sociali. I cadaveri ai piedi della giovane popolana sono frutto di studio dal vero e su modelli di gesso. Anche all'interno di questo dipinto come nella “Zattera della medusa”  di Géricault possiamo ricostruire una forma geometrica: il triangolo. Si può vedere come i corpi esanime in basso rappresentino i vertici inferiori e la popolana con la bandiera francese sia il vertice superiore, i cui lati sono definiti dal fucile dell'insorto a sinistra e dalla mano sinistra del ragazzo a destra.  
Sullo sfondo a sinistra, su di un cielo intriso di polvere e sofferente dalla guerra si può intravedere la cattedrale di Notre Dame. La forza, la speranza, la determinazione di questi uomini e donne hanno fatto storia e sono diventati simbolo di una libertà dal sapore nuovo. Si può ammirare la sua straordinaria potenza al Louvre di Parigi, se non l'avete ancora visto cosa aspettate!?

Sainte Chapelle: la luce del Gotico

Parigi: croissant, Seine, Eiffel, Moulin Rouge...ma c'è di più. La cappella del palazzo reale Sainte Chapelle, situata nell'Île de la Cité, è un piccolo, grande gioiello del XIII secolo. Fu commissionata da Luigi IX negli anni 1243-1248 ed è concepita come un reliquario per la corona di spine inviata direttamente da Costantinopoli. 
La pianta è molto semplice, è rettangolare con un abside poligonale e si sviluppa su due livelli. Sia all'interno che all'esterno gli elementi strutturali portanti sono ben visibili. Troviamo quindi la cappella superiore, la quale era usata dalla famiglia reale, e la cappella inferiore destinata al popolo. 
La cappella inferiore è alta meno di sette metri, ha tre navate separate da colonnine con capitelli scolpiti. L'abside è leggermente rialzato e presenta a sinistra la statua di San Luigi IX. Il soffitto presenta volte a crociere le quali sono decorate con gigli dorati su sfondo blu. I colori e gli ornamenti ricordano per certi versi lo stemma del Re di Francia.
La cappella superiore è una cosa spettacolare: a navata unica con un abside poligonale presenta cinque campate con alte volte a crociera. Le arcate cieche sono decorate con affreschi nella controfacciata. Al di sopra della cantoria, luogo destinato a chi cantava, si trova lo splendido rosone.
L'altare è un vero e proprio reliquario, troviamo infatti il ciborio che custodisce la corona di spine. Le vetrate ricoprono la maggior parte dello spazio nella cappella superiore, sono quindici e presentano scene dell'Antico Testamento. 
Il ciborio
La vetrata caratterizza questo periodo storico-artistico: attraverso di essa l'immagine che viene raffigurata prende vita solo in presenza della luce, la quale, come una magia, la attraversa. 


Ecce Homo e l'arte per tutti

"Ecce Homo". Così Ponzio Pilato esordiva, rivolgendosi ai Giudei. Antonio Ciseri ci offre un punto di vista davvero particolare: ci troviamo in mezzo alle persone più vicine all'allora governatore della provincia della Giudea e vediamo le persone al di là del parapetto che esultano per la flagellazione di Cristo. Per me non c'è bisogno di essere grandi critici o storici dell'arte per capire e ancor di più per apprezzare l'arte. Tutti possono avvicinarsi a questa disciplina. Amo l'arte perché sa emozionare lasciando ad ognuno di noi libera interpretazione ad ogni opera. Questa sarà negativa o positiva in base al nostro stato d'animo, all'età, al sesso. Concetto applicabile alla Mona Lisa per esempio: oggi la vedo sorridere perché son felice, domani seria perché sono stressata. Per me non deve esserci una sola realtà, un solo modo di amare l'arte. Non ho mai studiato il dipinto di Ciseri ma l'ho trovato per caso e mi ha colpito.
Ecce Homo 1891 - Palazzo Pitti a Firenze
Sembra quasi una fotografia: di fronte a noi ci sono delle strutture architettoniche antiche luminosissime, in contrasto con l'ambiente scuro in cui noi paradossalmente ci troviamo. Il punto di fuga del dipinto ci porta dritti alla figura di Ponzio Pilato che allunga la mano verso Cristo, quasi in secondo piano. Non tutte le figure che si trovano nello stesso nostro ambiente sono interessate alla scena come la donna che si allontana a destra. Chissà forse loro non sono d'accordo sulla decisione di crocifiggere Cristo o forse non hanno capito la gravità delle conseguenze che questo gesto porterà. Nonostante non sia un'opera di cui si parla molto secondo me doveva avere un po' di spazio nel mio blog, perché anche nelle piccole cose si possono trovare grandi emozioni.

Pontormo: la nuova coscienza di un luogo condiviso

Jacopo Carucci Pontormo nacque ad Empoli nel 1494 e fin da giovane ebbe una spiccata vena artistica. Lavorò dapprima nella bottega di Leonardo, poi con Piero di Cosimo e di Mariotto. Nel 1512 studiò alla scuola di Andrea del Sarto. La caratteristica principale del suo dipingere è il suo gusto anticlassico, che è alla base del manierismo, fondata sul colore timbrico, un disegno ritmico e su impostazioni spaziali diverse dalle tradizioni prospettiche. Ebbe molte influenze: Dürer per esempio, dal quale assorbe la cultura nordica. L'opera di cui tratterò in questo posto è la Deposizione di Cristo che si trova oggi in Santa Felicita a Firenze, nella Cappella Capponi. 
Quest'opera mi ha colpito moltissimo per i colori e il modo in cui vengono inseriti i personaggi nello spazio. È un'opera di rinnovamento rispetto alla tradizione del tempo. Se prendiamo in considerazioni infatti le classiche deposizioni, come quelle di Raffaello o Botticelli e giriamo l'asse allora avremmo davanti agli occhi proprio l'opera del Pontormo. Possiamo vedere come la Madonna è inserita in secondo piano, in un contesto che sembra irreale, un luogo in totale assenza di peso. I colori pastello e le poche ombre presenti nel dipinto danno una forte luminosità alla scena. 
Deposizione 1526-28
L'invenzione dell'artista è quella di mettere lo spettatore al centro dell'azione, si trova nello stesso spazio in cui da lì a poco le figure poseranno il corpo di Cristo, spazio in cui si trova l'altare e la camera sepolcrale. Siamo quindi di fronte a un nuovo modo di concepire l'opera: il dipinto e lo spettatore condividono lo stesso spazio. Questa è una nuova presa di coscienza degli artisti, capiscono che lo spettatore si rivolge alle opere stesse con le quali ha un rapporto. Perciò possiamo affermare che senza la presenza dello spettatore l'opera non avrebbe senso.   

Isabella d'Este e lo Studiolo: donna tenace e risoluta

Isabella d'Este nacque a Ferrara il 1 aprile 1474, figlia di Ercole d’Este ed Eleonora d'Aragona. Promessa sposa fin da piccola, all'età di soli 16 anni, nel 1490, si unisce in matrimonio con Francesco II Gonzaga, diventando di fatto la marchesa di Mantova. Nel 1494 inizia a pensare alla creazione di un grande progetto, lo Studiolo.
Isabella fu una delle più importanti figure del Rinascimento Italiano perché fu molto attiva nella corte Mantovana, dal punto di vista culturale e politico. Disegnava gioielli e vestiti, era una donna dai mille volti e molto determinata. Le caratteristiche più importanti da notare di Isabella sono sicuramente la sua forte propensione laica e archeologica e l'adesione ai principi e allo stile cortigiano. 
Ritratto di Isabella di Lorenzo Costa
Isabella in una lettera del 7 luglio 1506 alla cognata e duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga da Montefeltro, esprime il suo dispiacere e rimpianto di non aver mai visto Roma, nonostante il suo amore verso il classico e l'antico: «… non voglio negare di havere desiderio di veder Roma, non per vedere la corte et natione diverse, che più di quello ho visto non potria vedere, ma per vedere le antiquità e famose ruine de Roma e contemplare quel che doveva essere quando triumphava un victorioso imperatore…».
Isabella alla fine riuscirà a vedere Roma tra l’ottobre 1514 e il marzo 1515 e ci ritornerà poi nel 1525, restando ancora «gagliarda e allegra» come riferito da un suo segretario, nonostante la sua non più giovane età.
Per quanto riguarda il progetto dello studiolo, questo è una grande opera d'arte! Il tema principale e l'unico presente al suo interno è l'amore. Questo è l'amore celeste, l'amore più puro e alto che non porta alla sofferenza. Per quanto riguarda i modelli, le fonti letterarie a cui Isabella attinge per commissionare i dipinti, sono del tutto contemporanei. Tra i maggiori troviamo: «Anteroticorum libri» di Pietro Eco del 1492, l'«Anteros» di Battista Fregoso del 1496 e il «Libro de natura de Amore» di Mario Equicola. Quest'ultimo risale al 1508, poco prima che Equicola si trasferisse alla corte di Mantova da Napoli. Successivamente con l'incontro di Isabella egli cambierà il testo e nel 1525, data della pubblicazione, lo dedicherà alla Marchesa. Nel suo libro molte pagine sono dedicate agli stilnovisti, ai provenzali e ai Triumphi del Petrarca.
Infine, ma non meno importanti, dobbiamo ricordare alcuni grandi nomi di artisti che aiutarono la crescita di questo meraviglioso Studiolo: Andrea Mantegna, che era l'artista di corte, Giovanni Bellini, molto amato da Isabella, Perugino, Lorenzo Costa, Gian Cristoforo Romano e Correggio.
Non solo dipinti ma anche letteratura, questo il concetto espresso da Pietro Bembo, in visita a Mantova nel giugno 1505, rivolgendosi ad Isabella. La Marchesa seguì il suo consiglio e inserì opere letterarie tra cui poesie d'amore. L'incentivazione della cultura, della poesia, della musica e delle arti erano fra l'altro prerogative della corte di Ferrara, corte molto più ricca e prestigiosa rispetto a Mantova. Grazie ad Isabella anche Mantova poté godere di sviluppo e prestigio a cavallo tra il XV e XVI secolo. Del Mantegna abbiamo tre dipinti: Il Parnaso del 1497, I Vizi cacciati dal giardino della Virtù del 1502 e Il Regno di Como. Quest'ultimo fu iniziato nel 1506 ma Mantegna morì e fu terminato da Lorenzo Costa ispirandosi al dipinto di Perugino.
Il Parnaso - 1497
Il regno di Como - 1511
Nel dipinto del 1502 possiamo trovare ai piedi della bellicosa Minerva la frase «Otia si tollas periere Cupidinis arcus». L' «Otia si tollas...» è tratto dai Remedia amoris di Ovidio, quindi in questo caso troviamo un riferimento letterario antico!
I Vizi cacciati dal giardino della Virtù - 1502 
Per quanto riguarda la scelta degli artisti, Isabella veniva costantemente informata ed era molto determinata a portare alla corte Mantovana i più grandi artisti della penisola del tempo. Nel caso di Perugino, Isabella notò l'elogio di Giovanni Santi nella sua Cronaca che lo definisce «divin pictore», e poi venne citato in una lettera di Ludovico il Moro dove parla degli artisti che si trovavano a Firenze e che potevano essere impiegati per la Certosa di Pavia. Tra questi, oltre Perugino, troviamo: Sandro Botticelli, Filippino Lippi e il Ghirlandaio.
A questo punto assodata la bravura del Perugino, tra lui e Isabella comincia a svilupparsi un rapporto epistolare, abbiamo infatti circa 60 lettere dei due. Quella del 19 gennaio 1503 è da ricordare: per un dipinto che verrà consegnato solo nel 1505, Isabella scrive al Perugino delle chiare direttive su come fare il dipinto della Battaglia di Castità contro Lascivia «La poetica nostra inventione, la quale grandemente desidero da voi esser dipinta, è una batagla di Castità contro di Lascivia, cioè Pallade e Diana combattere virilmente contro Venere e Amore. Et Diana al contrasto de Venere devene mostrarsi eguale nella vittoria; et Diana dalla face di Venere li habbia brusata la veste et in nulla altra parte sian fra loro percosse. Dopo queste quatro deità, le castissime seguace nimfe di Pallade e Diana habbino con varii modi e atti, come a voi piú piacerà, a combattere asperamente con una turba lascivia di fauni, satiri et mille varii amori. Ma per maggior vaghezza li vorebbe uno acomodato lontano, cioè uno fiume overo mare dove si vedessero passare in sochorso d’Amore, fauni, satiri et altri amori, e chi di loro notando passare el fiume e chi volando, e chi sopra bianchi cigni cavalcando, se ne venissero a tanta amorosa impresa. Ma parendo forse a voi che queste figure fussero troppe per uno quadro, a voi stia di diminuire quanto vi parerà, purché poi non li sia rimosso el fondamento principale, che è quelle quatro prime, Pallade, Diana, Venere, et Amore».
Battaglia di Castità contro Lascivia - 1505
Nel 1519 Francesco II Gonzaga muore e Isabella prende in mano la situazione politica della corte, come era già successo nel 1495 quando suo marito era in battaglia contro Carlo V e quando egli stesso fu prigioniero dei Veneziani. Inoltre la Marchesa decise di spostare la propria residenza, dal Palazzo Ducale a Corte Vecchia, per questo smonta e rimonta lo Studiolo. É in questa occasione che appare un'altra figura importante, il Correggio. Egli fece due dipinti sulle allegorie: il Trionfo della Virtù e il Tormenti dei Vizi. Entrambi sono databili 1531 circa.
Tormenti dei Vizi - 1531
Trionfo della Virtù  - 1531
 La maggior parte dei dipinti si trovano ad oggi al Louvre di Parigi, questo perché nel 1627 Carlo I Nevers, che fu duca di Mantova, donò le opere al cardinale Richelieu. Queste poi andarono al Re di Francia, Luigi XIV e solo dopo la rivoluzione raggiunsero il museo. 

Il battistero degli Ariani

Nel 476 venne deposto Romolo Augusto da Odoacre, Re degli Eruli, il quale divenne nuovo Re Italico. Nel 493 fu però sconfitto da Teodorico, capo degli Ostrogoti. Arrivato al potere stilò un programma di riqualificazione della città di Ravenna che prevedeva la costruzione di nuovi monumenti per il culto ariano. Teodorico fece erigere S. Apollinare Nuovo nel 505 e il battistero. Quest'ultimo viene detto degli Ariani per distinguerlo da quello degli ortodossi o Neoniano costruito da Galla Placidia circa cinquant'anni prima.
Nel 556 fu adattato ad oratorio del culto cattolico con il nome di S. Maria in quanto fu condannata la chiesa ariana e solo nel 1914 fu acquistato dallo Stato Italiano. Il battistero si presenta con forma ottagonale ed il piano originario si trova a 2,30 metri sotto al manto stradale.
Nel V secolo, con Galla Placidia ci si poneva il problema del conflitto tra tridimensionalità e bidimensionalità, ma ora con l'età di Teodorico abbiamo la netta vittoria della seconda.
Il programma iconografico della decorazione musiva della cupola è ripreso dal battistero Neoniano. Viene rappresentato il battesimo di Cristo che si trova nella parte centrale della cupola, in cui troviamo uno schema concentrico. Il programma musivo è ridotto a solo due fasce: quello degli apostoli che convergono verso il trono dell'Etimasia, in cui è presente lo schema radiale, suggerito dall'uso delle palme; e quello appunto del battesimo di Cristo. Quest'ultima parte è stata più volte rimaneggiata. Il ritmo della processione degli apostoli è come bloccato e la rappresentazione tende all'astrazione a causa del fondo oro. 
Analizziamo nel dettaglio le scene: al centro S. Giovanni battezza Cristo mentre la colomba emana dal suo becco lo Spirito Santo. Cristo è immerso nelle acque del Giordano, che viene personificato dal vecchio, che ha vicino a sé un otre da cui esce l'acqua e sul capo presenta le chele del granchio, simbolo delle divinità marine e fluviali. 
Nella fascia radiale vediamo gli apostoli spostarsi in direzione del trono, in attesa della venuta di Cristo, su cui troviamo una croce e un cuscino color porpora. S. Pietro, alla destra del trono porta le chiavi del Paradiso e S. Paolo, a sinistra due volumi. Tutte le figure sono abbigliate come gli antichi romani. Anche in questo caso come per il Mausoleo di Galla Placidia la cosa spettacolare è l'effetto che dà l'esterno, così sobrio, con i mosaici e lo sfarzo interno. In realtà rispetto a quello Neoniano, il battistero degli Ariani è meno riccamente decorato al suo interno. Vi consiglio vivamente di andare a vedere questa splendida città! 

La Zattera della Medusa

La Zattera della Medusa di Géricault racconta con grande realismo e drammaticità il naufragio della nave “Medusa” che stava trasportando cittadini e soldati alla colonia del Senegal nel 1816. Ci troviamo nel periodo di passaggio tra il Neoclassicismo e il Romanticismo, caratterizzato non più dalle rappresentazioni politiche ed ideologiche francesi e napoleoniche, bensì dalla raffigurazione della storia, più precisamente della cronaca. L'artista francese non celebra i grandi personaggi politici ma le azioni di anonimi cittadini di eroismo e quotidianità, e con questo dipinto divenne famoso. L'opera fu inizialmente esposta al Salon nel 1819 ma non era ancora terminata, toccherà aspettare il 1820 a Londra per vedere la tela nel suo totale splendore.
La scena scosse profondamente gli animi del tempo, il naufragio costò la vita di ben 135 persone delle 150 che per giorni vissero su questa zattera. I superstiti furono recuperati dalla nave Argus e due di essi raccontarono al mondo l'inadeguatezza dei salvataggi provocando scalpore.
Il sentimento che vuole riprodurre Gèricault è principalmente quello della speranza: i naufraghi sopravvissuti si muovono tra i corpi dei compagni ormai morti e con le ultime forze in corpo tentano disperatamente di farsi notare dalla nave Argus, rappresentata dal puntino bianco in basso a destra, così lontano da esser poco percepibile all'occhio frettoloso. La forza di questo grande sentimento è davvero molto potente, anche se accanto ad esso molti personaggi vengono invece scossi dalla delusione e dalla paura che nessuno mai li verrà a salvare. Il personaggio a sinistra è pensoso, ormai sfiduciato e non si oppone al suo triste destino, alcuni guardano verso l'orizzonte nel punto in cui un loro compagno sta indicando col braccio, altri aiutano un marinaio ad alzarsi su di un barile per farsi notare dalla nave lontana.
La scena è impostata sulle diagonali che partono dal basso della zattera fino ad arrivare al vertice della piramide umana rappresentato dalla camicia agiata dal marinaio, ma allo stesso tempo possiamo notare due forse contrarie: la speranza che fa protendere i personaggi verso destra e il vento che, quasi per sottolineare l'infausto destino spinge la zattera nella direzione opposta allontanandola dalla salvezza. Nonostante le notizie degli studi fatti in obitorio sulle vittime, Géricault rappresenta i sopravvissuti vigorosi come se i quindici giorni di naufragio non avessero intaccato la loro bellezza. Questi avevano infatti bevuto la propria urina e mangiato carne proveniente dai compagni morti, ma il loro corpi sono energici. Questi sono un recupero degli eroi classici come il Galata morente o il Pasquino usato per il vecchio pensoso che regge il compagno morto. 
Con questa tela si ha un ribaltamento della storia, non più gloriosa e trionfante ma piena di disperazione e morte. Alcuni ritennero che Géricault volesse criticare la nuova struttura politico-sociale e considerarono la tela come fosse un'allegoria politica, altri invece elogiarono la sua bravura di rappresentare nei personaggi l'intera nazione francese. La grande tela di “soli” 491 x 716 centimetri si trova al Louvre di Parigi ed è davvero stupenda, spero avrete la possibilità di andarci prossimamente e vedrete che non ve ne pentirete! 

L'incubo

Johann Heinrich Füssli fu un pittore svizzero che diede una nuova interpretazione al classicismo di fine '700, avvicinandosi a un'arte fantastica e visionaria che prelude il romanticismo. Con la sua opera “L'incubo” sviluppa il soggetto orrifico, già presente nella pittura inglese, inserendo la rappresentazione in un ambiente chiuso e moderno, con oggetti e tendaggi del tempo. Diversamente gli inglesi avevano stemperato il gusto orrifico con il mito e la leggenda. Füssli era originario svizzero ma per motivi religiosi fu costretto a partire e si fermò per un breve tempo a Berlino prima di arrivare a Londra, dove, con l'aiuto di Joshua Reynolds, si dedicò alla pittura.
Abbiamo diverse versione dell'Incubo, quelle certe sono due: quella del 1781 che si trova a Detroit nell'Institute of Arts, mentre quella del 1790-91 a Francoforte nel Goethe-Museum.
1781 Institute of Arts - Detroit
1790-91 Goethe Museum - Francoforte
Füssli venne in Italia nel 1769, e fu qui che studiò i grandi capolavori manieristi di Michelangelo e grazie ad essi scoprì il valore oscuro ed antico della tragedia e la passione irrazionale. L'artista raffigura una donna addormentata la quale è sovrastata sul petto da un mostro e un cavallo che spunta dalla tenda. La posizione della donna potrebbe essere un recupero dei Baccanali di Tiziano o quello del Sogno di Ecuba di Giulio Romano. La scena allude a impulsi inconsci di natura erotica associati alla violenza carnale. Il cavallo potrebbe quindi simboleggiare l'uomo e, la sua irruzione improvvisa, lo stupro. Il dipinto secondo alcuni rappresenterebbe il desiderio represso del pittore più che il desiderio sessuale della donna.
Il soggetto dell'opera è stato inoltre ripreso cinematograficamente, come in Barry Lyndon di Kubrick o in Gotich di Russell.


La morte di Marat

Jacques-Louis David nella sua tela “La morte di Marat” ci dà testimonianza della Rivoluzione Francese. Marat infatti fu uomo politico e rivoluzionario che riuscì ad espellere dalla Convenzione, l'assemblea legislativa ed esecutiva che fu creata durante la Rivoluzione, i girondini nel 1793. Purtroppo la sua vittoria fu breve ed amara, un mese dopo fu assassinato da Charlotte Corday. Marat viene rappresentato in una sorta di santificazione laica poiché martire della Rivoluzione. È sofferente nella sua malattia della pelle ed ha in mano la lettera portata proprio da chi lo ha appena pugnalato, in cui leggiamo la data 13-07-1793. La cassa in legno a destra è metafora di una pietra tombale con la relativa iscrizione.
David fu amico di Marat e fu lui ad organizzare il suo funerale e sempre lui a scrive nel “Discorso alla Convezione”: avendo Marat una malattia della pelle, non poteva essere scoperto davanti al popolo e per questo David pensò che il modo migliore per mostrarlo fosse quello in cui l'aveva visto l'ultima volta, ovvero mentre scriveva per il benessere del popolo. La posa di Marat, la testa reclinata e il braccio pendente ricordano moltissimo la Pietà di Michelangelo ma anche il Cristo Deposto del Caravaggio.
Caravaggio - Deposizione
David vuole rappresentare il passaggio dalla vita alla morte usando colori freddi come il bianco e l'avorio. Lo sfondo, nero, è un recupero caravaggesco così come la luce, la quale proviene da una fonte invisibile trasformando l'omicidio in un'icona di una nuova religione. Gli oggetti, quali la penna, il coltello e il calamaio diventano delle reliquie e alcuni come il blocco per scrivere, la vasca e la camicia insanguinata furono esposte durante il funerale. Ad oggi l'opera è conservata a Bruxelles, nel Musées royaux des Beaux-Arts.  

Giuditta e Oloferne

Un'opera straordinariamente bella, energica e allo stesso tempo impressionante è la “Giuditta e Oloferne” di Caravaggio, commissionata dal banchiere del sacro collegio cardinalizio Ottavio Costa nel 1599. L'opera è conservata alla Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma. La cosa non ci deve sorprendere perché Caravaggio era molto amato dai banchieri, come da Vincenzo Giustiniani, banchiere personale del Papa.
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Ottavio Costa era di Savona e venne a Roma con Juan Enrique Guerrera grande estimatore dei Carracci. Ad oggi, nell'archivio di Roma e Siena abbiamo le ricevute scritte in spagnolo dei pagamenti effettuati dai cardinali, in circa 100 volumi. Il banchiere Costa aveva ben 10 copie e 3 dipinti di Caravaggio, e questo della Giuditta era il suo preferito. Costa farà ben tre volte testamento, era ricco e famoso, infatti quando morì nel 1639 la notizia arrivò sino ai giornali. Dal punto di visto stilistico l'opera è vicina alla Cappella Contarelli ma purtroppo non abbiamo una data precisa della sua realizzazione. Insieme alla Santa Caterina, che è a figura intera, affronta il tema sacro raccontando una storia, cosa che nei quadri precedenti non aveva mai fatto. La modella della Caterina e della Giuditta è la stessa, si tratta di una cortigiana senese di nome Fillide.
Santa Caterina 
L'opera ha un taglio di ¾ e rappresenta una scena drammatica che si svolge nella tenda del capo degli Assisi, i quali si erano accampati nella terra dei Giudei per sottometterli. Fu mandata per questo la Giuditta nell'accampamento nemico e, ottenuta la loro fiducia, riuscì a far ubriacare Oloferne e ad ucciderlo con la sua stessa arma. Accanto a lei c'è la serva Abra che attende, con un panno in mano, che la giovane donna le dia la testa di Oloferne. Da notare il contrasto tra le due figure femminile, una giovane e bella, l'altra vecchia e scontrosa. La cosa più sconcertante a mio parere è il fatto che la Giuditta sembra esser nata per trovarsi qui, come fosse stato da sempre questo il suo destino perché non si scompone affatto mentre uccide Oloferne.
Gli orecchini che la Giuditta indossa potrebbero essere quelli che il committente Costa aveva regalato a sua figlia per il matrimonio con il figlio di Herrera. Furono probabilmente prestati a Caravaggio per inserirli nel dipinto, il quale fu esposto al matrimonio stesso.
Purtroppo per il dipinto abbiamo problemi di datazione, ma un fatto di cronaca ci aiuta a capire meglio. L'opera si lega infatti alla decapitazione di Beatrice Cenci del 1599. Figlia di un personaggio di dubbia fama, all'età di 18 anni, d'accordo con i fratelli e la matrigna Lucrezia Petroni uccide il padre. L'uomo probabilmente aveva rinchiuso la figlia e la compagna in un feudo per problemi ereditari.
Clemente Aldobrandini aveva da poco emanato un editto che condannava questi omicidi, punendoli con la morte. La bella fanciulla a differenza dei fratelli non chiese mai perdono. L'avvocato Prospero Farinacci cercò di aiutarla ma senza risultati poiché Aldobrandini avrebbe perso credibilità se l'avesse perdonata. Il carro con cui Beatrice venne portata al patibolo passò davanti alla banca di Ottavio Costa, quindi Caravaggio probabilmente l'aveva vista e ne era rimasto influenzato.
Questo fatto di cronaca è stata molto sentito dal popolo di Roma che portò addirittura i fiori al Gianicolo, luogo in cui era stato portato il corpo della giovane. Si ha quindi un parallelo tra la Giuditta che sconfisse il nemico e la giovane Beatrice che uccise il padre.